Un anno alla radio

Cap. XIII

Come avevo fatto altre volte, le lasciai una lettera d'”addio” non definitivamente traumatica, ma un po’ triste perche’ esprimeva la consapevolezza che il sogno stava per finire. Temei, ancora una volta, che si sarebbe risentita e che non avrebbe voluto piu’ parlarmi. Quando poi pensai che la lettera non era finita nelle sue mani, la cercai e poiche’ mi rispose con una certa disinvoltura, pensai che il messaggio non fosse arrivato. Invece fu proprio Lei a parlare della lettera e capii che mi ero sbagliato. Mentre eravamo al telefono si mise a rileggermi i brani in cui parlavo di Lei… e la cosa mi fece piacere, come se con quel gesto, i miei pensieri si imprimessero meglio nel suo intimo. Ad un tratto mi chiese: “Ma tu mi vuoi bene?”. Mi colse di sorpresa, e le dissi che non c’era bisogno che rispondessi e che i fatti parlavano da soli. Ma Lei volle sentirselo dire…
Alla fine di aprile torno’ Angelo e insieme ripercorremmo con tanta nostalgia i mesi vissuti insieme alla radio e soprattutto le nostre simili avventure sentimentali. E Irene cambio’ di nuovo atteggiamento nei miei confronti: ancora una volta mi deluse e decisi di non chiamarla piu’.
Mancavano dieci giorni alla fine del mio servizio. Come era accaduto numerose altre volte, la mia indifferenza provoco’ in Lei un riavvicinamento. Mi chiamo’ a casa, contenta davvero di sentirmi: mi disse che mi aveva sognato e che le ero mancato, ma io riuscii ad essere freddo e impassibile e Lei me lo fece notare rimproverandomi del fatto che il mio comportamento la faceva soffrire. Ad un tratto mi chiese quando le avrei portato una cassetta che le avevo promesso. Quasi scherzando, le proposi di venirsela a prendere e Lei fu d’accordo. Una risposta del genere non me la sarei mai aspettata: voleva dire che era davvero interessata alla cosa e quando, per metterla alla prova, iniziai a fare il “vago” dicendo che avrei dovuto cancellare qualche pezzo, visto il deterioramento dei nostri rapporti, subito mi rimprovero’ pretendendo di ascoltare quella registrazione cosi’ com’era. Mi parve favorevole ad un eventuale nostro incontro che io tanto avevo desiderato da tempo e quel pretesto era buono. E quando le domandai che cosa avrebbe fatto se mi fossi “dimenticato” di portare la cassetta, mi lascio’ di stucco con quel “niente!”. Effettivamente, quella telefonata non finiva di riservarmi sorprese. Certamente la sua voce era guidata dalla sincerita’. Mi promise che mi avrebbe richiamato la sera precedente il nostro incontro.
Fu una lunghissima e inutile attesa che mi fece piombare in un nuovo pessimismo. Le diedi un’ulteriore possibilita’, aspettando l’indomani, credendo che si sarebbe fatta viva all’ora di pranzo, all’uscita da scuola. Anche quel pomeriggio fu un’angoscia: proprio quel giorno saremmo dovuti uscire e Lei non mi aveva cercato. Mi sentii un verme, tradito, preso in giro, deriso e umiliato. E oltre alla delusione e all’amarezza, iniziai a provare pena per me stesso. Quando calo’ la sera, per mitigare il veleno che avevo dentro di me, pensai di preoccuparmi e provai a telefonare: la linea era sempre occupata e composi il numero dello studio del padre: nessun pericolo, era al telefono con una sua amica. Pensai ingenuamente, che al termine di quella conversazione, mi chiamasse per darmi una spiegazione: niente. Dovetti cercarla di nuovo io per manifestarle la mia delusione ed il pessimo stato d’animo. Che stupido. Mi sentii come un giocattolo e dubitai di tutte le cose belle che mi aveva detto negli ultimi giorni. A volte invece pensavo che si trattasse di un periodo critico e che non riuscivamo a capirci bene… E in questa incertezza barcollai fino al 18 maggio, l’ultimo giorno di servizio.
L’emozione degli ultimi minuti, mi porto’ esattamente indietro di un anno, quando la gioia e l’impazienza di iniziare erano nulla in confronto alla malinconia che provavo ripercorrendo quella parentesi della mia vita che stava per chiudersi… Quando passarono le 14:30, alla chiusura ufficiale del servizio, mi sembro’ che qualcosa mi fosse scivolato dietro le spalle, per sempre, in modo irreparabile. Tornai in camera: pioveva e il cielo era grigio e quasi buio. Sembrava lo specchio delle mie sensazioni. E l’infinita’ di gocce che arrivavano dall’alto pareva l’ombra dei miei ricordi che, timidi, si facevano avanti, attimo dopo attimo. Avevo “finito”. Invece avrei voluto continuare, anche per conoscere il finale di questo racconto, per sapere di Irene, la mia piccola protagonista… Ma cio’ che accadra’ dopo il 18 maggio non e’ piu’ il sogno, bensi’ la realta’ di tutti i giorni.
Di Lei, probabilmente mi restera’ soltanto il ricordo: e sara’ per sempre bella, sorridente e birbante, dolce e fredda, amica e… Conservera’ nei miei pensieri quell’illusione, quell’immagine di perfezione e di eterna giovinezza, la voce, le poche lettere e quella speranza intramontabile.