Un anno alla radio

Cap. VIII

Sulla mia agenda, al 17 settembre appuntai:
“Poi dicono che venerdi’ 17 e’ un giorno sfortunato: ho rivisto Irene dopo piu’ di due mesi! Che incanto questa ragazza…”
Proprio quella sera, durante la trasmissione, dopo tantissimo tempo mi telefono’ Sonia che voleva ascoltare una mia musica. Fui felice di accontentarla, anche se i miei pensieri erano rivolti altrove.
Giorno dopo giorno, nella voce di Irene cominciai a notare qualcosa di strano e indefinito: era un po’ diversa, piu’ fredda di quanto non mi aspettassi, visto l’andamento delle cose tra di noi. Per qualche giorno non si fece piu’ sentire, e quando la chiamavo io, trovava sempre una scusa per interrompere le nostre brevi conversazioni. E quando mi prometteva che avrebbe ritelefonato Lei, restavo ad attendere inutilmente anche per ore intere. Non riuscivamo mai a parlare un po’ con calma: io aspettavo da Lei qualche segnale, un messaggio, sia esso positivo che negativo, ma qualcosa di certo, e non incompiuto. Avrebbe potuto dirmi di no, di si’, di aspettare un mese, un anno o semplicemente i suoi comodi; invece mi lasciava con l’ansia insoddisfatta, che a lungo andare diventava malattia. Perdevo tempo a rimuginare nel passato, nutrendomi dei ricordi che si riferivano al periodo in cui anche Lei provava affetto per me e lo dimostrava; pretendevo forse che tali ricordi si materializzassero davanti ai miei occhi appannati dal piu’ cieco degli amori. E’ stato veramente triste e difficile alimentare la speranza per tentare di spegnere quell’illusione che la sua voce o la sua assenza mi procuravano. Volevo cercare di capire i suoi pensieri, cosa rappresentassi per Lei: nella mia testa regnava la piu’ grande confusione.
Al che, mi decisi di parlarle chiaramente e di sfogare quella lunga attesa accumulata da parecchio tempo non appena si fosse fatta sentire; e la telefonata di quel mercoledi’ 22 settembre fu davvero drammatica: mi chiamo’ per dirmi che in quel periodo le andava tutto male, dalla famiglia alla scuola e anche gli amici l’avevano abbandonata; in piu’ era addolorata per una disgrazia che aveva colpito una persona a Lei cara. Io non le diedi il tempo per esprimersi e svuotai contro di Lei la mia anima. Quando mi disse: “
Pensavo che tu fossi l’unica persona con cui poter parlare“, mi cadde il mondo addosso e mi pentii amaramente di quel gesto egoistico: ma ormai era troppo tardi, aveva cambiato opinione nei miei confronti.
Ero distrutto e quando le dissi che quella sera non avrei partecipato allo spazio dediche, a causa dello stato d’animo pessimo, quasi mi ordino’ il contrario: “
Se questa sera non sento la tua voce per radio, non ti chiamo piu’…”
Per la prima volta, non cedetti. Ci salutammo freddamente ed io rimasi tutto il pomeriggio in camera a soffrire in silenzio, solo. Mi sdraiai sul letto con lo sguardo perso nel vuoto, verso il soffitto, ad affliggermi, a farmi del male. E la sofferenza dello spirito era cosi’ grave che mi venne un terribile mal di stomaco. Rimasi immobile in quella posizione per un paio d’ore abbondanti e saltai anche la cena. Avevo i brividi ed ero senza forze. Aspettavo che iniziasse lo spazio dediche condotto da Angelo con la speranza che ci fosse una canzone anche per me.
Pregai anche che squillasse il telefono: fu attesa vana. E anche lo spazio dediche volgeva al termine senza alcun segnale positivo. Alla fine arrivo’ l’ultima dedica: la voce di Angelo annuncio’:
“…Da parte di Irene per Massimo, con il messaggio <Ho paura di essermi innamorata di te>…” Fu peggio di una pugnalata. Stavo per venir meno e non caddi per il solo fatto che mi trovavo disteso sul letto. Per un attimo temei di impazzire. Volevo morire: era troppo crudele per me. Nel mio corpo non c’era piu’ il sangue, ma veleno bollente che mi faceva odiare anche l’aria che respiravo. Per fortuna venni a sapere dal mio amico che a proposito della dedica si tratto’ soltanto di un’omonimia. Comunque, con tanta tristezza, dovetti voltare pagina e “scordare” quello che era accaduto dalla fine di giugno in poi…
Il giorno dopo, ci sentimmo e fu ancora una volta doloroso sopportare il suo atteggiamento nei miei confronti: mentre era al telefono con me, rideva e scherzava con un suo amico… Inspiegabilmente, pero’, quando mi richiamo’ successivamente, il suo tono di voce mi dono’ un certo sollievo.
Le giornate seguenti passarono in una sorta di amara rassegnazione, benche’ avessi chiarito la mia posizione e la situazione potesse considerarsi non definitivamente compromessa.
Nella penultima puntata dello spazio dediche, che condussi da solo, volli rendere omaggio a tutte quelle ragazze che avevo conosciuto tramite la stessa trasmissione e che per diversi motivi avevano conquistato la mia simpatia e il mio affetto. Con un dolce sottofondo musicale, lessi queste poche righe e ringraziai:

Irene, “per il solo fatto di esistere, perche’ con l’alternarsi dei suoi atteggiamenti, ha fatto traballare il mio cuore”;
Valeria, “per la sua simpatia travolgente e per la preziosa sensibilita’”;
Enrica, “perche’ e’ stata la prima ragazza a dedicarmi una canzone e perche’ ha gli occhi piu’ belli dei miei”;
Monica, “per la sua assidua fedelta’, per la simpatia e per il fatto di essere stata una delle poche persone a preoccuparsi quella sera in cui sono arrivato in ritardo allo spazio dediche”;
Sonia, “per le sue poesie, per la sua bonta’, per la dolcezza, per le telefonate, per tutte le volte in cui mi ha fatto sentire importante e per tutti i suoi ‘niente'”;
Marcella, “per le lettere che mi spedisce, e per la commozione che mi ha fatto provare dicendo che ‘la nostra voce e’ il suo unico sollievo’…”;
Gloria, “perche’ e’ la terza ‘conduttrice’ dello spazio dediche insieme con me e Angelo e soprattutto per l’affetto che ci regala”;
Alice, “all’ultima ascoltatrice, ma non per importanza, per la sua ineguagliabile dolcezza, e soprattutto perche’, come me, ama la musica”.

Nell’ultima puntata, ci divertimmo un mondo: da Irene, pero’, mi sarei aspettata una dedica personale, un pensiero carino che non arrivo’. Ci rimasi veramente male e nei giorni a seguire maturai la consapevolezza che tutto era finito.
Durante la notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre, scrissi una lettera un po’ particolare che l’indomani consegnai al suo portiere, approfittando della cosa per fare una passeggiata…

L’ULTIMO PENSIERO

Rinunciare, per dimenticare.
Bisogna saper voltare pagina, anche quando quest’ultima
e’ piena di ricordi e speranze incompiute.
Dire no alle lacrime intrappolate nelle ciglia
e cedere ad un altro l’alloro ormai vicino.
Una sconfitta dignitosa, scongiurata fino alla fine,
ma inevitabile per infausto destino.
Come un castello di carte, pazientemente costruito,
tutto e’ crollato con un sospiro di tristezza.
Avra’ senso questa vana sofferenza?
Poter vedere l’ombra della felicita’ e svanire in breve tempo
nella nebbia della delusione.
Sentirsi rivolgere frasi pensate per altri, essere presi in giro
e ritrovarsi piu’ inutili e inanimati di un burattino.
E’ vero, una storia non avrebbe mai avuto inizio,
se si fosse continuato a parlare “al passato”.
E’ comunque doloroso essere definito piu’ che un amico
e scoprire di valer meno di un telefono “erotico”,
voler essere importanti e risultare indifferenti,
amare ed essere derisi…
Perche’ mai proprio con te ci sono dovuto cadere due volte?
Abbiamo sbagliato tutti e due pero’.
Io ad illudermi e tu ad illudermi.
Perche’ mi hai detto “non parlare al passato” se neanche quello
esiste piu’?
E perche’ io sono cosi’ ingenuo?
Che colpa ne ho se mi sono innamorato?
Quale colpa hai tu, se mi hai fatto innamorare?
Perche’ hai speso per me tante belle parole?
Perche’ chiedevi comprensione, dolcezza, affetto,
e quando io te ne offrivo, mi ignoravi?
L’ho capito.
Ho sempre creduto di essere comprensivo, dolce, affettuoso,
desideroso di capirti e starti vicino, di proteggerti, di coccolarti,
ma in realta’ sono uno stupido qualsiasi che non serve a niente,
se non per trasmettere per radio
le canzoni da dedicare alle persone piu’ importanti della tua vita.
Io che ho cercato di donare tutto me stesso,
considerandoti piu’ preziosa della mia anima (se esiste ancora),
ho preteso che la mia felicita’ fosse anche la tua..
Se potessi tornare indietro,
fermerei il tempo alla telefonata che mi hai fatto
durante lo spazio dediche
in cui io ti ho detto per la prima volta “Ti amo”,
quando anche tu, per la prima volta,
mi hai sussurrato “Anche io ti voglio bene”…
E rivivrei la telefonata del giorno dopo,
quando mi leggesti quella splendida lettera
che mi ha regalato
la gioia piu’ grande dei miei ventidue anni di vita.
Dopo di che,
potrei morire in pace:
tu non avresti piu’ il fastidio
di ascoltare la mia voce
e le mie patetiche dichiarazioni d’amore,
io dimenticherei le pagine amare
di questo sogno.
Di certo, niente e nessuno permettera’ a cio’ che e’ rimasto
del mio povero (quasi sbriciolato) cuore,
di rinnegare un solo pensiero rivolto a te
e di affievolire minimamente
l’intenso sentimento che la tua leggiadria
ha fatto sbocciare in me.

Per sempre.

La telefonata di “ringraziamento” arrivo’ soltanto il 4 ottobre, quando mi prego’ di chiamarla il giorno dopo.