Un anno alla radio

Cap. IX

Il 10 ottobre iniziai a prestare il servizio anche di domenica. Un pomeriggio da trascorrere in diretta, rinunciando alla giornata festiva per poter frequentare le lezioni all’universita’ il sabato. Avevo preso questa decisione con un po’ di dispiacere, non sapendo che altre sorprese mi attendevano in un futuro immediato.
Al giorno 14, sulla mia agenda avevo scritto: “
Ha telefonato Irene dopo 6 giorni… Io non chiamo piu’”. Notai che il mio distacco equivaleva ad un suo ritorno, e i fatti lo dimostrarono. Certo, rinunciare a chiamarla mi costava non poca fatica, ma stavo gia’ meditando l’idea di volerla “dimenticare”; per lo meno volevo limitare per quanto possibile le mie sofferenze.
Un pomeriggio passai a casa e dopo parecchio tempo misi le mani sul pianoforte. Ad un tratto squillo’ il telefono: era Lei e tutta affannata mi disse che mi aveva cercato alla radio, all’Istituto e finalmente mi aveva trovato: me ne ero accorto, e quel suo tono di voce stranamente interessato non mi convinceva, anche se in fondo, mi faceva piacere. Sicuramente si trattava di un atteggiamento insolito, anche perche’, scherzando, mi rimproverava del fatto che non mi facessi piu’ sentire. Mi sforzai di essere freddo e impassibile, ma non ebbi un grande successo. Comunque, il grande affetto di una volta non esisteva piu’, e il ricordo dei bei tempi mi portava tanta, troppa malinconia.
Fu Alice in quel periodo molto critico per me, che quasi si sostitui’, sia a Irene che a Sonia. Mi bastava che mi rivolgesse una parola carina o un pensiero d’affetto che subito riversavo in lei tutto cio’ che le altre due ragazze avevano rifiutato da me. Decisi di dedicarle una poesia, forse eccessivamente enfatica, basata su facili giochi di parole intorno al suo nome, con la quale esprimevo a lei cio’ che avrei voluto dire ad un’altra persona…
Il 24 ottobre, scrissi questa saggia riflessione: “
Caro mio, non l’hai ancora capito che con le ragazze sei ‘iellato’?”

E arrivo’ anche il mese dei morti (tanto, peggio di cosi’…): il 9 mi improvvisai postino, dal momento che dovevo consegnare ad Irene alcune cassette e ad Alice una musica che scrissi per lei. Quando giunsi sotto casa della prima, fui invaso da un’improvvisa emozione, in quanto non l’avvertii della cosa e temevo di incontrarla. Lasciai comunque il pacchetto al portiere che ormai conoscevo bene e che stava conversando con due signore. Quando lo salutai e mi voltai per andarmene, una voce mi fulmino’ chiedendomi chi fossi: “Tana!”, pensai. Era la nonna di Irene; ci presentammo e scambiammo due parole. Chiesi se la nipote fosse a casa: mi rispose che era uscita per una commissione. Alla fine me ne andai veramente, dirigendomi a casa di Alice. Quest’ultima non c’era e la persona che mi rispose al citofono mi invito’ a salire. La pregai invece di scendere e cosi’ fu. Era la nonna ed ebbi il piacere di conoscere anche lei. Viva le nonne!
Le piacque tanto quel mio brano e mi fece promettere che non l’avrei fatto ascoltare a nessuno… Era una pretesa insolita, ma con affetto accettai.
Trascorrevano i giorni, e verso la meta’ del mese anche Alice comincio’ a mutare l’atteggiamento nei miei riguardi: piu’ le dimostravo comprensione e attaccamento, piu’ mi sentivo preso in giro. Nel frattempo, dopo tanti secoli si fece viva Irene ed era palese l’indifferenza reciproca che caratterizzava i nostri brevi dialoghi. Per meglio dire, pero’, se la sua indifferenza era autentica, non altrettanto lo era quella mia. Non c’era nulla da fare: non riuscivo proprio a togliermela dalla testa.
Proseguiva intanto l’impegno della domenica pomeriggio “in diretta” che mi porto’ un bellissimo regalo. Il 21 novembre, una pioggia monotona aveva colorato di grigio quell’aria stanca e malinconica che da tempo caratterizzava i miei giorni. Mi tenevano compagnia, comunque, le numerose telefonate che giungevano per richiedere le canzoni. Tra queste, ci fu quella di Stefania. Parlammo un po’, come per iniziare un discorso che avremmo ripreso in seguito; senza saperlo ancora, stavamo vivendo le stesse sensazioni e per una sorta di magia, il destino ha voluto che queste si fondessero per dare alla luce una splendida amicizia, dai confini non ben definiti. Dal tono di voce intuii che fosse una ragazza dolcissima e dalla spiccata sensibilita’ interiore. Le proposi di scrivermi e di richiamarmi. Per convincerla, le dedicai “Avrai” di Claudio Baglioni e quando mi chiamo’ subito dopo per ringraziarmi, mi disse che le aveva suscitato uno strano effetto aver sentito il proprio nome per radio. Per conquistare la sua simpatia, pronunciai piu’ volte ancora “Stefania” e l’eco di questo nome, risuonera’ per sempre nel mio cuore. Dopo le prime, timide lettere, sciogliemmo presto il ghiaccio e ringraziai Dio per avermi regalato una creatura cosi’ straordinaria e meravigliosa. E soprattutto perche’ mi aveva dato la possibilita’ di sapere che al mondo esiste qualcuno che puo’ volermi bene senza farmi soffrire. A dire il vero, inizialmente pensai che quel suo entusiasmo fosse destinato a tramontare come quello del “trio”, Irene, Sonia e Alice. Invece non fu cosi’: riuscii a riconquistare pure la fiducia in me, grazie a lei, e di questo le saro’ per sempre riconoscente.
Sarebbe comunque impossibile e riduttivo raccontare a parole l’importanza della sua presenza nei miei pensieri, cosi’ come la mia nei suoi. Puo’ bastare cio’ che un giorno fiori’ in me e che sentii di scriverle:

Stefania,
un volto di speranza dallo sguardo dolce,
due occhi che si affacciano all’infinito
e riflettono un mare di serenita’
dentro cui annegare per sempre.
Un sorriso, il piu’ bello,
che non sa nascondere i sentimenti
e vive di spontanea sincerita’.
Una voce,
melodia di un’anima preziosa,
luce di un amore sognato.
Due mani,
fortuna di chi le potra’ scaldare,
che stringono in se’, come un segreto
la felicita’ di vivere.