L’anno successivo fu segnato dalla dolorosa e prematura scomparsa della nostra compagna Carmen.
Arrivo’ anche la gita in Austria, e solo adesso scopro una coincidenza che mi fa rabbrividire: partimmo il 17 aprile e tornammo il 23, le stesse date del tuo ultimo e tragico viaggio senza ritorno.
Fu allora che ti invaghisti per sempre della mia amicizia quando ti stupii con un’insolita e sfrenata voglia di divertirmi. Tra musei, brodini e “Palle di Mozart” mi confidavi la tua nuova avventura sentimentale chiedendomi consigli: e mi meraviglio’ il fatto che tu ne avessi bisogno…
E passeggiammo per le notturne strade di Vienna, comprammo numerose bottiglie di birra per scattare fotografie divertenti e in albergo, tu trovasti anche il coraggio di nasconderti nell’armadio. Che paura mi facesti prendere quando, aprendo lo stesso armadio, ti trovai pallida e un po’ stordita.
Un’altra sera, ci trovammo a cenare in un locale molto particolare e caratteristico. Io, per diverse circostanze, mi sentii escluso un po’ da tutti e inevitabilmente caddi nel precipizio della malinconia.
Dopo cena uscimmo per fare due passi. Ero l’unico a camminare da solo, senza parole e con i brividi. Non osai sperare che qualcuno si ricordasse di me: tutti erano impegnati a ridere e scherzare, e poi, fra tante voci, un respiro silenzioso non si nota facilmente. Muovevo i miei passi per inerzia e per non restare indietro; mi rassegnai a concludere cosi’ la serata.
Ad un tratto, assorto nei miei pensieri, mi trovai a braccetto con qualcuno e raggiunsi presto l’apice della felicita’ quando mi accorsi che eri tu. Fosti l’unica che si preoccupo’ di me e della mia solitudine, e per tutto il tempo camminammo insieme parlando come due amici che non si vedono da tanti anni.
E ti raccontai del ginnasio, delle “frecciatine” e dei nostri equivoci, della gita in Grecia e delle sue stelle. Ti confidai ogni mio segreto…
Appena raggiungemmo Salisburgo, mi sembro’ di essere in un luogo irreale, fiabesco… Nel pomeriggio, durante la visita alla rocca della citta’, mi colpi’ la nostalgia per qualcosa di indefinito, non vissuto, ma gia’ passato.
Quando attraversammo una piazza dove era stata allestita un’enorme scacchiera, mi ricordai delle partite che noi due iniziavamo senza mai condurre allo “scacco matto”.
Nemmeno la funicolare riusci’ a sollevarmi un po’; cosicche’, dopo una foto di gruppo, avventurandomi da solo, presi la strada del ritorno verso l’albergo.
Sentii bussare alla porta: avevo dormito e gli altri erano gia’ tornati.
La sera, dopo una splendida passeggiata, si decise di andare in birreria. Tu, prendendomi sotto braccio e affidandoti a me, mi raccomandasti di sorvegliarti e di starti sempre vicino anche per scongiurare un’eventuale sbornia; aggiungesti, poi, che io ero l’unico di cui ti potessi veramente fidare…
Non esistono parole per descrivere cio’ che provai in quei momenti: e non saprei dire se si trattasse di una sensazione o di un sentimento.
E come previsto, all’uscita dal locale eri vistosamente brilla e ti sorreggevi a me per guidare i tuoi passi. Non capivo fino a che punto fingessi o se veramente la birra avesse fatto effetto.
L’ultima sera, prima del viaggio di ritorno, contemplavamo il tramonto sul lago di Garda, con i suoi riflessi irreali e qualche nuvola per rendere ancor piu’ pittoresche le fotografie che sto sfogliando in quest’istante.
In breve tempo passo’ un altro anno che, oltre ai mondiali di calcio, porto’ gli esami di maturita’.
Eravamo giunti alla resa dei conti, e noi ci preparavamo all’evento traducendo insieme brani di Platone e Tucidide. Cosi’, grazie al tuo prezioso aiuto, anche il greco divenne meno ostico.
Proprio in quei giorni, una tua zia ti regalo’ un pianoforte che volesti subito farmi provare. E con immenso piacere da parte mia, mi chiedesti di diventare il tuo “maestro di musica”, cosa inedita per me, dal momento che da te ho sempre avuto solo da imparare. Fu cosi’ che, unendo l’utile al dilettevole, il sabato pomeriggio, armati di libri di greco e spartiti, trascorrevamo ore piacevoli ed indimenticabili.
Presto giunse anche l’estate; con te avevo un debito: dovevo venire a trovarti ad Itri. E’ stata un’esperienza meravigliosa, ma purtroppo, irripetibile.
Il treno si fermo’ alla stazione di Formia e tu eri gia’ li’, abbronzata ed ancora assonnata. Iniziammo subito a ridere quando notammo il pullman di linea che suonava ripetutamente il clacson dietro la tua “cinquecento” parcheggiata proibitivamente in mezzo alla strada.
Quella mattina mi portasti alla spiaggia di Fontania, a Gaeta, dove trovammo i tuoi genitori che mi accolsero, come al solito, molto affettuosamente.
Prima di pranzo, ci fu il tempo per una visita alla “montagna spaccata” e al Santuario di S. Filippo Neri. Nel pomeriggio riconquistammo il mare e tutti gli angoli reconditi che tu mi raccontavi aver scoperto da ragazzina.
Capivo, in quei momenti, cosa volessero dire per te il mare, l’estate e le vacanze a Itri. E quando mi presentasti i tuoi amici, mi resi conto che il tuo divertimento non era egoistico, ma finalizzato a quello della comitiva. Sdraiati sotto il sole, rimembravamo i tempi del liceo, mentre tua madre ti rimproverava quando si accorgeva che ti stuzzicavi le bollicine con le unghie.
Avevamo tante cose da dirci e tanti segreti da svelare: come quello che nascondeva il motivo per cui io non presi parte alla gita scolastica a Monaco. Eri l’unica a saperlo e ne condividesti appieno le motivazioni…
Mentre assistevamo ad una partita di beach-volley, il sole volgeva lentamente al suo riposo vespertino; guardando l’orologio, sospirai: era tardi e dovevo riprendere il treno per Roma. Pensa quale rimorso avrei ora se non avessi accettato il tuo invito a restare ancora per qualche giorno.
Cosa arrivo’ la sera. Tornammo a casa, e dopo la doccia sentivo ancora il calore del sole preso durante la giornata. Tu, davanti allo specchio, passavi il tempo a criticare la tua bellezza; tuo padre, seduto sulla poltrona, guardava il telegiornale commentando con me qualche notizia; tua madre preparava la cena effondendo nella casa un piacevole aroma di pomodoro fresco…
Ogni cosa era fatta con passione e scoprivo, dietro quella serena gioia di vivere, il sincero affetto che vi teneva legati.
Dopo aver mangiato ce ne andammo in giro per Itri. Al rientro, come se la giornata fosse stata breve, ci intrattenemmo a chiacchierare fino a notte inoltrata.
Ci sedemmo in cucina, l’uno di fronte all’altra. Era tutto silenzioso intorno a noi, ed anche quella fioca luce che spezzava il buio sembrava stanca.
Preparammo qualcosa da bere, ed ogni nostro movimento era seguito da una pausa per assicurarci di non aver svegliato i tuoi genitori. Ma come spesso accade in questi casi, nonostante l’eccessiva meticolosita’, ogni tanto qualche rumore secco riecheggiava nella stanza e noi, con non poca fatica, dovevamo trattenere le risa. Quando trovammo pace, quasi sussurrando, iniziammo a conversare dimenticando gli orologi e la stanchezza.
Il mattino seguente, dopo un’abbondante colazione, tornammo al mare di Sperlonga, alla “casetta” come la chiamavi tu. Li’ conobbi la tua intolleranza per la pigrizia di quelli che non assecondavano le tue iniziative…
Dopo cena, col fuoristrada ce ne andammo a Baia Domizia ad ascoltare un cantante sconosciuto che pretendeva di far ridere con le sue battute ambigue. Io, dopo essermi fatto trascinare dalle risate degli altri, non sentendo la tua, mi voltai verso di te e notai un muso lungo che mise a tacere il mio divertimento: compresi che lo spettacolo non era di tuo gradimento ed avevi ragione.
A serata conclusa, sulla strada per Itri, appoggiasti la testa sulla mia spalla. Mentre ascoltavo il tuo respiro guardavo fuori attraverso il finestrino e mi sembrava di ripercorrere il viaggio di ritorno dalla Grecia… Quante cose erano cambiate nel frattempo.
II terzo ed ultimo giorno, appena svegli, prolungammo la colazione prima di raggiungere il mare. Calo’ anche l’ultima sera.
Vivemmo cosi’ intensamente quei tre giorni che sembrarono una settimana. Sarei rimasto volentieri ancora per molto, ma non volli approfittare dell’ospitalita’ e dell’affetto che trovai presso te ed i tuoi genitori. E nonostante la promessa di ripetere quell’esperienza, fu duro per me doverti salutare. Cosa avrei fatto a Roma? Con chi avrei parlato fino a tarda notte?