A Itri tornai dopo circa un mese per una giornata, poi a Capodanno ed in seguito per la festa del 1° maggio. Quest’anno mi sarebbe piaciuto… e sicuramente anche a te. E poiche’ in quest’ultimo periodo ti avevo un po’ trascurata, avrei voluto recuperare le occasioni perdute: ed ho imparato che il tempo che si perde e’ veramente perso.
Mi ricordai di te quando mi impelagai in disavventure sentimentali e le tue parole di conforto alleviarono notevolmente il mio pessimismo esistenziale.
Dopo alcuni giorni mi venisti a trovare di sorpresa a casa ed eri imbronciata per il “ventisette” in geografia appena conseguito: non ti andava giu’ quella “longitudine nord” di un esaminando che ottenne il tuo stesso voto.
Per raddolcire la situazione, ti proposi di mangiare un po’, di cioccolata: mi rispondesti con l’espressione di chi, di fronte ad una tentazione proibita, sta per cedere. Ti feci ascoltare, poi, una musica che composi ispirandomi alla danza e che mi faceva pensare a te: ti piacque molto.
Ce ne uscimmo con la macchina continuando a sentire le mie nuove musiche che gia’ accompagnavi di tanto in tanto con la voce.
Prima di salutarci, ci ripromettemmo di uscire piu’ spesso insieme. Ma solo per colpa mia non fu cosi’; maledetto lo studio, maledetta la musica, maledetti gli amici: possibile che non riuscissi a trovare un pomeriggio da dedicare a te? C’erano forse cose piu’ importanti di te?
Un giorno mi telefonasti per organizzare una pizza con i professori. Restammo a lungo a chiacchierare di Universita’, esami, vacanze e del mio problema del servizio civile che avrei dovuto prestare in un futuro non molto lontano.
Un’altra sera, quando mi telefonasti alla vigilia di un tuo spettacolo a Latina, notai un’ombra di malinconia e malumore nella voce: ti conoscevo molto bene. Avevi voglia di parlare con me, stavi un po’ giu’, ma io, come al solito, in quel momento ero impegnato in altre cose e la breve telefonata termino’ con l’appuntamento al giorno dopo, per una passeggiata ricreativa.
Era sabato. Tua madre mi offri’ un gustoso te’ condito con la dolcezza e l’amore di sempre. Tu, porgendomi dei biscotti da te preparati, mi dicevi di aver un po’ di mal di gola ed io capii che non saremmo usciti.
Mi trattenni poco anche perche’ eri impegnata con i preparativi per lo spettacolo di Latina.
Salutai per sempre tuo padre. Dei tuoi problemi avremmo parlato in un’altra circostanza…
Ben presto giunse la tua festa di compleanno. Un altro sabato.
Avevo previsto di arrivare piu’ tardi degli altri a causa di alcuni impegni. Poco prima di uscire di casa squillo’ il telefono: qualcuno credeva che non arrivassi piu’.
Non apristi tu la porta, come invece accadeva nelle altre occasioni: ti vidi solo quando avevo gia’ salutato tutti gli altri, e nel farti gli auguri notai in te una vaga ombrosita’ nei miei confronti. Ma presto sparisti dal mio sguardo perche’ eri indaffarata a fare gli onori di casa. Tra noi due nemmeno una parola in piu’ oltre il saluto: ero perplesso, credevo fossi cambiata.
Dopo un po’ mi appartai sul balcone. Il tuo comportamento nascondeva certamente qualcosa e mi sentivo parte in causa.
Intanto ti divertivi a ballare davanti alla videocamera e nei tuoi occhi albeggiava la piu’ serena felicita’. Eri bellissima. Riflettevo sulla tua vita, sulla tua incapacita’ ad annoiarti…
E temevo anche di non potermi piu’ considerare come “il tuo paziente maestro di musica, il tuo amico sincero, l’unico che riesce sempre a donarti un’oasi di tranquillita’ per farti dimenticare le tue piccole grandi preoccupazioni…”
Dopo la torta ti aiutai a rassettare il salone anche per scrutare un tuo eventuale messaggio “arpocratiano”…
In un momento di stasi si chiari’ l’equivoco: tu pensavi che fossi venuto solo a seguito della telefonata. Mi basto’ ricordarti che te l’avevo promesso; e poi, per te… come avrei potuto ?
E mi assolvesti con un lungo, commovente abbraccio che il destino designo’ come l’ultimo. Perche’ mai ho riaperto le braccia permettendoti di partire per sempre?
Dovevamo parlare ancora, del tuo periodo negativo e del mio viaggio a Milano. Avevo tante novita’. Certamente adesso saprai tutto, ma io no. Chissa’, avrei potuto aiutarti.
Ora tu non hai piu’ bisogno di me: io si’, di te.
Fino all’ultimo istante ho sperato ed ho creduto nella tua forza; non mi sono mai arreso nemmeno alla fredda realta’ della scienza. E quando in ospedale, tenendoti la mano, ti parlavo, credevo veramente che tu mi ascoltassi.
Non mi sono mai sentito piu’ inutile e vuoto quando, al termine delle visite, in processione silenziosa si attraversava il corridoio e si usciva dall’ospedale, lasciandoti li’, sola, mentre fuori il mondo continuava a respirare sotto il sole.
Mi chiedevo: si inizia forse a vivere quando si muore, o questa vita terrena e’ una morte?
Puo’ un essere umano, condividere o almeno, accettare una cosi’ cruda ed imperscrutabile sentenza ?
Quale valore puo’ assumere una frase del tipo “la vita continua”, se nella mia concezione di vita e’ insita la presenza tangibile di Francesca?