Cap. XI
Tra le tante ascoltatrici, c’era una signora, a dire il vero un po’ scocciatrice, che aveva il brutto vizio di farsi passare la noia telefonandoci alla radio. Inoltre aveva due difetti: una voce odiosa e si chiamava Isa. Che male c’eā nel nome Isa? Null’altro, se non le iniziali di Irene, Sonia e Alice… A parte gli scherzi, da quando notai questa coincidenza, ogni volta che quella voce giungeva alle mie orecchie, mi sembrava che la coscienza volesse ricordarmi che non avevo scampo: non potevo dimenticare quel “trio” a me tanto caro…
Spesso decidevo di non tentare i miei ricordi e spingevo i pensieri lontano, fingendo di aver scordato tutto. Ma se cioā funzionoā con Sonia e Alice, lo stesso non si puoā dire per Irene che, con il suo umore variabile nei miei confronti, non fece altro che riaccendere, di tanto in tanto, quel lume di speranza che celavo dentro di me. Piuā volte mi dicevo che, se avessi voluto, non avrei ceduto alle sue “tentazioni”; ma alla fine con una sola parola riusciva a farmi dimenticare ogni dispiacere provato per causa sua ed ero sempre pronto a ricominciare. Avrei voluto fingere disinteresse: per qualche giorno resistevo senza telefonarle, ma inevitabilmente l’incantesimo finiva. E bencheā a volte si mostrasse fredda nei miei confronti, non vedevo il motivo per cui non potessi continuare a volerle bene.
Quando scrissi per Lei la canzone che le avevo promesso, per tanto tempo esitai prima di fargliela ascoltare: ma quando le sue richieste diventarono preghiere (dal tono di voce, sembrava che sentire quel brano fosse la cosa piuā importante che desiderasse), non potei oppormi. In fondo volevo la sua felicitaā, ed ogni piccola buona azione che potessi compiere per Lei, mi riempiva il cuore. Molte volte si rivolgeva a me per piccolissimi favori, ed ero contento che si ricordasse di me in qualche circostanza. Poi, per diversi periodi spariva. Per paura di essere noioso, a volte rinunciavo a farmi sentire. E quando si rifaceva viva, mi rimproverava e mi pregava di richiamarla il giorno dopo. Ogni tanto le inviavo una lettera, e qualche volta, per essere sicuro che la leggesse e subito, facevo io stesso il postino. Mai una risposta, mai una sorpresa. Allora preferivo rinunciare. Ma che bisogno aveva di cercarmi di nuovo e di mostrarsi gelosa delle nuove ragazze che conoscevo alla radio?
Tra la fine di gennaio e la prima metaā di febbraio riuscii finalmente ad essere piuā freddo del solito nei suoi confronti: ottenni l’effetto opposto. Il 18 febbraio mi chiamoā alla radio dopo parecchio tempo: come in altre circostanze mi disse che mi aveva cercato nei giorni precedenti, anche a casa, senza avermi trovato. Mi chiese se fossi stato avvisato della cosa, e siccome non fu cosiā, m’inquietai, pur non essendoci apparentemente una ragione valida. Si trattava sempre di Lei, e il disinteresse che manifestavo nei suoi riguardi era sempre una forzatura. Dal tono di voce pareva veramente contenta di parlare con me. Stranamente non aveva fretta di riagganciare, come le altre volte. Mi disse di aver scritto la lettera che mi promise parecchio tempo prima, su mia richiesta. Ad un tratto, come se avesse aspettato il momento opportuno per una domanda che aveva in mente da tempo, mi chiese come andassero le cose con le ragazze. Le parlai ovviamente, vista la mia sinceritaā, di Stefania e Diana, e del fatto che fossi molto legato e affezionato a loro. A quella risposta, parve delusa: con un tono di voce rassegnato mi confidoā allora che avrebbe eliminato qualche parte della lettera. Subito la interrogai e Lei comincioā a darmi risposte vaghe, anche se io ne compresi il significato. Pensai: “Ricomincia?”. Sicuramente aveva scritto qualcosa di carino; le chiesi quale collegamento ci fosse tra Stefania, Diana e le cose che avrei letto. Mi rispose che se avesse lasciato quei pensieri, si sarebbe sentita come un’intrusa, tra me e le mie amiche. Non capii. Cosa c’entrava quella lettera con le mie amicizie?
Le sue risposte non fecero altro che istigare la mia fantasia e la curiositaā di ricevere quanto prima quel messaggio; e pretesi che mi spedisse quei fogli senza alcuna correzione. Invece Lei mi tenne sulle spine, e per diversi giorni la supplicavo: faceva la misteriosa, ignara del fatto che per me quel suo comportamento fu un’ulteriore sofferenza.
Comunque, in seguito fu piuā esplicita, e come un cerino puoā incendiare una foresta, cosiā quelle sue parole riaccesero in un attimo il sentimento assopito e nascosto in me: e forse parlai un po’ troppo. Infatti, dopo qualche giorno tornoā ad essere strana, come sempre; quando rinnovavo il mio interesse e mi riavvicinavo, Lei era appagata e mi lasciava con i dubbi e la delusione.
Non mancarono, anche nei giorni seguenti, le ulteriori prese in giro: se la cercavo io, mi rispondeva che mi avrebbe chiamato dopo cinque minuti e io aspettavo per ore o addirittura ero costretto a farmi vivo dopo qualche giorno. Quando le chiesi se mi avesse spedito la lettera, mi rispose che non ne era sicura: come potevo pensare che potesse volermi bene, se per Lei valevo meno di niente?
La sera del 3 marzo fu terribile ed umiliante: telefonoā Lei dopo qualche giorno che non ci sentivamo. In quei venti secondi di conversazione mi disse che voleva richiedere delle canzoni da dedicare durante la diretta di Angela: gliela passai immediatamente pensando che avremmo potuto scambiare due parole (avevamo diverse cose da dirci) subito dopo. Si misero a chiacchierare per una decina di minuti e poi conclusero la telefonata. Non mi aveva nemmeno salutato; non fui altro che un centralinista.
Ma il peggio doveva ancora arrivare: accesi la radio e dopo un po’ la voce di Angela mi feriā con il messaggio: “Da parte di Irene per Luciano, la canzone ‘Non amarmi'” e subito dopo seguiā “Stai con me” per un suo amico… Toccai il fondo. Se aveva un messaggio cosiā crudele da inviarmi, avrebbe potuto farlo direttamente a me, tramite il telefono. Mi vennero i brividi per la tristezza e la delusione, e per la rabbia.
Le scrissi una lettera (che ancora una volta lasciai al suo portiere) in cui espressi tutto quello che provavo, salutandola con un “Addio”. Credetti che non l’avrei sentita piuā.
Mi richiamoā invece per ringraziarmi e per chiedermi il significato di quell’ultima parola. Io parlavo a forza di monosillabi, tanto ero afflitto. Fu molto dolce con me e disse che non voleva che io soffrissi in quel modo. Pensai che peggio di cosiā non sarei potuto stare, quindi c’era solo la possibilitaā di risalire a galla… Non seppe, comunque, che il giorno prima, dopo aver consegnato quella lettera, aspettai l’ora in cui sarebbe uscita da scuola, poco distante da casa, sperando di poterla intravedere anche per un attimo, da lontano: in realtaā, ad un tratto mi prese la tachicardia quando comparve una ragazza incredibilmente somigliante a Lei che di tanto in tanto volgeva lo sguardo verso di me, dandomi l’impressione di trapassarmi come se fossi stato trasparente. Alla fine fui contento di essermi sbagliato: sarebbe stato molto imbarazzante un incontro del genere.
Nei giorni seguenti fu sempre Lei a cercarmi (io non l’avrei fatto), e in un’occasione ebbe pure la faccia tosta di chiedermi percheā non l’avessi chiamata. Sembreraā assurdo, ma per ricambiare questa sua momentanea gentilezza, le feci recapitare un regalino del quale mi ringrazioā solo dopo tre giorni.
Il 21 marzo, quando ero ancora in vana attesa della lettera, mi telefonoā durante una diretta come se non fosse accaduto nulla: sembroā che volesse voltare pagina. La chiamai la sera dopo, ma mi liquidoā con una delle solite scuse; sorrisi amaramente e decisi di non chiamarla per un lungo periodo di tempo: mi ricordai infatti di quando una volta mi disse che ero troppo sdolcinato con Lei e non facevo nulla per farmi desiderare.
Mi degnai di spedirle un biglietto d’auguri di Pasqua, non indirizzato a Lei, ma alla sua famiglia, per farle capire vagamente cosa sia l’indifferenza.
Il 7 aprile, dopo piuā di due settimane di silenzio, mi telefonoā per ringraziarmi e per rimproverarmi, come al solito, del fatto che non l’avessi cercata. Fui talmente freddo con Lei che quasi mi fece tenerezza, anche percheā, questa volta, pareva veramente dispiaciuta e, dalla sua voce, sentivo il bisogno che aveva di ascoltare la mia. Purtroppo il suo dispiacere era nulla in confronto al mio che, giorno dopo giorno aveva seminato in me anche un pizzico di cattiveria.
Dopo diverso tempo, quando ci risentimmo, le manifestai l’interesse e la curiositaā di sapere il contenuto della lettera che ormai non sarebbe giunta piuā: certamente non si rendeva conto dell’angoscia che avevo accumulato da quel lontano giorno in cui aveva riacceso in me quel lume di speranza. Mi disse che l’avrebbe fatto, a patto che le avessi fatto leggere queste pagine: doveva sempre dettar legge Lei! Comunque avrei dovuto attendere ancora un paio di giorni. Mi invitoā (quasi mi impose) di chiamarla.
Quando lo feci, stava studiando e mi dispiacque disturbarla, e nell’intento di anticipare una delle sue tipiche risposte, tagliai corto proponendole che l’avrei richiamata un’altra volta; mi rispose con un tono cosiā deluso che mi sembroā la voce di chi sta per perdere l’ultima persona cui tiene veramente.
E quella volta percepii la sincera delusione nelle sue parole che si erano fatte piuā tenui e dolci. Sarei restato anch’io volentieri a discorrere con Lei, beninteso, ma dovevo pur dimostrare di avere il polso duro (non era affatto vero) e cosiā facendo, sentivo di fare del male a me stesso e a Lei. Comunque non potevo cedere ancora una volta… Quando le parlai di un’altra ragazza che mi telefonava spesso alla radio, esplose come mai non aveva fatto in una gelosia che mi sbalordiā: sembrava che mordesse le parole e si irritoā come se il suo fidanzato la tradisse sfacciatamente… Mi proibiā di mandare in onda la voce di quella “estranea” e la sentii veramente passionale in quel suo sfogo che non riuscivo a spiegarmi: che motivo c’era di prendersela tanto se ormai non ero piuā cosiā importante?
Feci il prezioso e Lei, prima di salutarci, con una voce da bambola da coccolare, mi chiese se le dedicassi una canzone. Non so dove trovai la crudeltaā per negarle quel piccolo piacere e per salutare, in diretta, l’altra, colei che le aveva cagionato quella inspiegabile gelosia.
Dopo un po’ fui colto da un terribile rimorso ed ebbi la tentazione di chiamarla e chiederle scusa: fui forte, e tenni dentro di me quell’ulteriore spina.