Cap. II
Quella splendida domenica di sole, il 4 luglio, inizio’ nel migliore dei modi per me: infatti stavo preparando le basi musicali di alcune mie canzoni, e poi ero affascinato dall’idea della telefonata che avrei fatto di li’ a poco: la sensazione strana era quella di parlare con una persona della quale conoscevo soltanto la voce e che in un certo senso gia’ sentivo come amica.
Verso mezzogiorno mi decisi e composi quel famoso numero: mi riconobbe subito (!) e mi confesso’ che l’avevo sorpresa proprio mentre stava per farsi la doccia. Non fu un problema, perche’ restammo a chiacchierare almeno per una mezz’ora: tanto basto’ per accendere la simpatia reciproca e per rompere il ghiaccio. Mi piaceva il suo modo di parlare, la sua voce e quell’affetto che mi trasmetteva con i suoi pensieri; e nonostante i suoi quindici anni, avevo l’impressione di parlare con una mia coetanea.
Di tanto in tanto soffermavamo l’attenzione sul fatto che eravamo unicamente una voce l’uno per l’altra ed era necessario associare a tale sensazione anche un riscontro visivo, un’immagine, anche se io, un po’ per scherzo e soprattutto seriamente, le dicevo che da me non doveva aspettarsi nulla di eccezionale: anzi!
Non ricordo esattamente gli altri argomenti della nostra conversazione: so soltanto che quella voce aveva un effetto particolare su di me e non mi stancavo mai di ascoltarla.
Il pomeriggio tornai alla radio che cominciavo ad amare piu’ della stessa casa. Mi misi a lavorare con il computer per stampare il testo della mia canzone “Un anno passera’” e inaspettatamente squillo’ il telefono: era Lei.
Ricordo perfettamente il piacere che provai nel sentire di aver suscitato in Lei una certa simpatia: attimo dopo attimo la sentivo vicina e la sua voce, che diveniva sempre piu’ familiare, riusciva a farmi navigare in un nuovo benessere. E ricordo anche quella luce esterna che filtrando attraverso le piccole finestre, lasciava immaginare l’estate che era ormai nel vivo.
Continuai a scrivere, anche se piacevolmente distratto dalla sua voce: il lavoro di dieci minuti duro’ un’ora, durante la quale i primi lineamenti della nostra amicizia stavano prendendo forma. Fu curiosa di sapere il contenuto della mia canzone e non esitai a leggere quel foglio che finalmente riuscii a stampare. Le piacque, e quella soddisfazione che provai mi spinse a chiederle se un giorno non sarebbe stata contenta di essere l’ispiratrice e al tempo stesso la destinataria di una mia composizione: fu felicissima di questa mia proposta che divenne subito una promessa.
Per un po’ ci salutammo. Mi richiamo’ piu’ tardi ed era preoccupata e sorpresa di sentirmi: non capii subito. Mi disse che aveva provato a telefonare in precedenza, ma la linea era occupata. Fin qui niente di strano, pensai. Nel frattempo, e qui il mio ricordo e’ meno nitido, ci fu una telefonata di Valeria che per scherzo le fece intendere che io fui portato in ospedale a seguito di un malore. Iniziai a ridere e contemporaneamente percepii la spontaneita’ della ragazza e quell’affetto che non si puo’ nascondere.
In fondo aveva quindici anni, non davo un peso eccessivo al suo atteggiamento nei miei confronti: di sicuro non sono stato mai un sasso, e quella sua dolcezza, colorata di un tenero fascino, mi disorientava un po’. E con soddisfazione mi lasciavo cullare in quell’atmosfera magica che si prova quando due persone timidamente iniziano a conoscersi e a piacersi.
Intanto, nei miei pensieri affollati c’era ancora Enrica che spesso mi cercava anche a casa. Con lei il legame era gia’ ben stretto: parlavamo spesso di scuola, che era la sua preoccupazione quotidiana, delle mie musiche che presto le avrei spedito.
Ma il record di telefonate spettava sicuramente ad Irene: in qualunque posto mi trovassi, inesorabilmente (e con piacere da parte mia) mi raggiungeva con la sua voce. Mi telefonava anche piu’ volte al giorno, alla mattina cosi’ come durante il pomeriggio, dopo pranzo, di sera…
E niente era piu’ bello che aspettare quella voce, quella presenza indispensabile e quell’affetto che ormai diventava “preoccupante”. Pensavo che prima o poi si sarebbe stancata, ed invece giorno dopo giorno la nostra amicizia “telefonica” si alimentava, trovava certezze, scopriva una bellezza straordinaria.
Col tempo, questa passione mi portava anche a degli eccessi: ad ogni mio spostamento avvertivo la portineria indicando il luogo dove potevano passarmi le telefonate. E se qualche volta rispondeva Angelo, riuscivo anche ad essere geloso se la conversazione si protraeva a lungo. Non c’era competizione tra me ed il mio amico e non ci doveva essere, ma ero felice di essere diventato ‘qualcuno’ per una persona cosi’.
Intanto proseguiva il nostro servizio alla radio, e devo ammettere che qualsiasi forma di stanchezza veniva raddolcita da quella presenza costante e irrinunciabile.
Durante una delle numerose telefonate, Irene mi disse che era in procinto di partire per le vacanze estive ed era curiosa di conoscermi personalmente prima di farlo. La cosa sarebbe piaciuta anche a me, ma non brillando per bellezza, temevo che dopo avermi visto, il suo affetto e l’entusiasmo iniziale sarebbero sfumati. Le dissi che non c’era alcuna fretta e l’incontro si poteva rimandare a dopo le vacanze.
Comunque la invitai a scrivermi e se avesse voluto, avrebbe potuto spedirmi anche una fotografia.
Ma il destino, a quanto pare, non era molto soddisfatto e voleva divertirsi di piu’ e decise di anticipare tale incontro.
Dopo la prima settimana di luglio, l’estate inizio’ a trascorrere serenamente le vacanze qui a Roma ed il caldo non si fece attendere. La nostra prima stanza, la 423, era un piccolo forno con tutte le comodita’: letti, armadi, un solo tavolo per due, un rubinetto d’acqua fresca e un’ampia finestra che offriva una piacevole vista di Viale dei Salenti alberata e piacevolmente trafficata. C’era anche il telefono! A pensarci bene, quel buco di stanza poteva anche non avere l’acqua, i letti e perfino la finestra: si’, senza luce: ma senza il telefono non sarebbe stato davvero possibile continuare questa storia.
Arrivo’ il 7 di quel mese: era mercoledi’. La mattina, quando ero in servizio, Irene mi disse che aveva terminato di scrivere la lettera e dal momento che sarebbe dovuta passare dalle mie parti, mi avverti’ che avrebbe approfittato della circostanza e l’avrebbe consegnata in portineria.
Mi mise una certa curiosita’, il fatto di sapere che la persona della quale conoscevo la voce e molti aspetti del carattere sarebbe arrivata nello stesso edificio in cui mi trovavo io, con il “rischio” di incrociarla per caso senza poterla riconoscere e salutare. Era affascinante l’idea di poter scrutare tutte le ragazze che via via sarebbero passate in portineria e sorprenderne una con in mano una lettera e quindi, poterla individuare senza essere riconosciuto. Certamente non avrei potuto trascorrere tutto il tempo ad aspettare, anche perche’, benche’ la cosa fosse assurda, pensavo che in qualche modo, facendo la sentinella, avrei dato adito a qualche sospetto e dei due, sarebbe stata Lei a riconoscermi.
Il pomeriggio non ero di servizio. Ero in camera a studiare ed il caldo era abbastanza opprimente.
Squillo’ il telefono. Era Lei: stava chiamando, insieme con Valeria, dalla cabina in Viale dei Salenti, poco sotto la nostra finestra. Sorrisi: pensai che per me sarebbe stato facile individuarla, pur non essendo visto: la cabina per strada era una, le finestre dell’edificio innumerevoli. Ma Lei aveva ben altre intenzioni: pretendeva che scendessi con Angelo. Io volevo rispettare i patti (tra l’altro avevo la barba di tre o quattro giorni che l’avrebbe spaventata), ma quando mi fece notare che aveva fatto tutto quel viaggio, mi sentii un po’ in colpa e dovetti cedere.
Avvertii Angelo che era in servizio in radio ed anche lui categoricamente mi disse che aveva problemi di “look” e non sarebbe stato il caso. Comunque egli non si sarebbe potuto assentare per molto, dato che era impegnato con un programma in diretta.
Aspettando che ritelefonasse per comunicare la risposta, mi misi a spiare dietro la serranda chiusa a meta’ e intravidi le due ragazze che vagavano con lo sguardo verso l’alto alla ricerca della possibile finestra nostra. Capii subito quale delle due fosse Lei in base alla descrizione che aveva fatto di se’, anche se, a causa della distanza e per la paura di essere scoperto, non riuscivo a vederne perfettamente i lineamenti. Certo era molto carina e mi ricordava una persona che abitava nel mio quartiere e che conoscevo solo di vista. Di tanto in tanto con un gesto della mano puntavano nella mia direzione: mi sentivo osservato e iniziavo a sudare restando piu’ immobile di un morto. Ma ero sicuro del fatto che la luce esterna e la mezza oscurita’ della stanza mi proteggessero a sufficienza. Cio’ non mi impediva, comunque, di muovermi il meno possibile, cercando di mimetizzarmi con non so che…
Con gesti lentissimi, allungai la mano verso la serranda che con movimenti infinitesimi cominciai ad abbassare per ottenere un buio piu’ fitto. Squillo’ di nuovo il telefono: asseri’ che mi avevano visto, e benche’ continuassi a negare, capii che l’impressione che avevo avuto era stata reale. Mi sentii come un ladro colto con le mani nel sacco. In qualche modo comunque la situazione si doveva sbloccare…
Alla fine mi arresi: alzai in un attimo quella serranda che avevo chiuso in tempo esageratamente lungo e spalancai le imposte concedendomi al loro sguardo divertito. Mi fecero segno di scendere e non provai nemmeno un po’ ad oppormi. Avvisai Angelo della “disfatta” e lo invitai a raggiungermi davanti alla portineria.